Rassegna Stampa 2009

I "Pomeriggi in Concerto" chiudono con "Omaggio alla lirica"

Grandissimo successo del recital dei partecipanti al Master internazionale di Canto e Tecnica Vocale di Delfo

L’appuntamento conclusivo dei “Pomeriggi in Concerto”, rassegna organizzata da Alfredo de Pascale, direttore artistico dell’Associazione Napolinova, ha avuto come protagonisti i partecipanti al Master internazionale di Canto e Tecnica Vocale di Delfo Menicucci. Dodici i cantanti, provenienti da tutta Italia ed anche dall’estero, fra i quali ben otto donne (sette soprani ed un mezzosoprano) e soltanto quattro uomini (tra baritoni ed un unico tenore), a confermare la tendenza delle precedenti edizioni. Differente, come di consueto, il livello, per cui si spaziava dal solista già affermatoa quello che si affacciava su una platea per la prima volta in assoluto, come la giovanissima e promettente ligure Elide Mucilli. Ma, come ha sempre tenuto a precisare il maestro Menicucci, il suo ruolo preponderante, a prescindere dalla maggiore o minore abilità dello studente, consiste nel dare la possibilità a tutti di salvaguardare le corde vocali, messe spesso a rischio da cattivi insegnanti, insistendo molto anche su una dizione chiara e pulita. A quest’ultimo proposito, l’esempio più eclatante del concerto l’abbiamo toccato con mano nel momento in cui si è esibito il tenore Makoto Sasaki, giunto in Italia praticamente senza conoscere la nostra lingua, al quale sono stati sufficienti pochi giorni di studio per essere in grado di confrontarsi molto dignitosamente con un brano di Cilea.
Vanno inoltre sottolineati gli enormi progressi fatti dal soprano Concetta Stucchio, che aveva esordito sedicenne, proprio in occasione del saggio finale del master di un paio di anni fa, così come il livello raggiunto da solisti già altre volte ascoltati, quali il baritono Luigi Pisapia, i soprani Lina Castrignanò, LuciaEsposito e Letitia Vitelaru, il mezzosoprano Valeria Mela ed il baritono Daniele Antonangeli. Molto interessanti, infine, anche le voci dei soprani Melania Maggiore e Silvia Bacioccola, e del baritono livornese Fabrizio Piquè, che per la prima volta hanno partecipato al corso.
Ancora, grande merito va dato al pianista Sergio Cortese, che ha accompagnato tutti i cantanti, suonando ininterrottamente per quasi due ore e fornendo un contributo molto significativo all’ottima riuscita del concerto.
La sua bravura, frutto di un enorme talento e di una grandissima esperienza, maturata a contatto con personaggi del calibro di von Karajan e Muti, va fortemente rimarcata, se si pensa al ruolo indispensabile, ma quasi sempre oscuro, e soprattutto avaro di soddisfazioni, che caratterizza la figura del pianista accompagnatore.
Bene ha fatto, nella circostanza, Menicucci, a richiamare l’attenzione sul maestro Cortese, fornendo in più occasioni, al folto pubblico, lo spunto per applaudire fragorosamente il pianista.
Un’ulteriore annotazione riguarda il numero degli spettatori che, invece di fdiminuire, come accade praticamente sempre, è andato via via aumentando, a dispetto della lunghezza del concerto, indice che la lirica ha ancora un notevole fascino attrttivo e, se affidata alle persone giuste, che eseguono brani adatti, riesce ad avvincere e a non stancare.
La rassegna “Pomeriggi in Concerto” si chiude quindi nel migliore dei modi, grazie ad un recital dove ognuno ha svolto il proprio compito al meglio, cominciando dal maestro Delfo Menicucci, che ha avuto modo, ancora una volta, di porre in evidenza la bontà del suo metodo, passando per i cantanti, che si sono dimostrati tutti molto bravi e concentrati, a dispetto di un caldo quasi soffocante, e finendo con la presenza di un formidabile pianista accompagnatore.
Appuntamento al prossimo autunno, con l’augurio che l’Associazione Napolinova organizzi sempre concerti di questo livello, in un luogo diverso da quello scelto per l’ottava edizione, in quanto la chiesa sconsacrata di S. Severo al Pendino si è rivelata una sede con troppi problemi sia di natura acustica che ambientale.

"Pianisti dal Mondo" ai "Pomeriggi in Concerto"

L’annuale masterclass del maestro Antonio Pompa-Baldi prestigiosa vetrina internazionale per i giovani talenti

Il penultimo appuntamento con i “Pomeriggi in Concerto”, rassegna organizzata da Alfredo de Pascale, direttore artistico dell’Associazione Napolinova, è stato dedicato ai partecipanti della masterclass tenuta dal maestro Antonio Pompa-Baldi, nativo di Foggia e residente negli USA, dove insegna al Cleveland Institute of Music in qualità di Distinguished Professor of Piano. Il saggio conclusivo, suddiviso in due giorni, ha avuto come prima sede la chiesa sconsacrata di S. Severo al Pendino, interessante dal punto di vista architettonico, ma acusticamente infelice. Nell’occasione, il recital è stato aperto dalla giapponese Ikuko Okumura, che ha eseguito il Notturno, op. 9 n. 1 in si bemolle minore di Chopin e la Danza rituale del fuoco di de Falla, dimostrando un buon tocco ed una notevole grinta, seguita dal giovane statunitense Joshua Konow, che ha ben suonato La Morte di Isotta, trascrizione lisztiana da Wagner. E’ quindi stata la volta della dodicenne cino-americana Vanessa Haynes, impegnata nell’interpretazione della Sonata, op. 10 n. 1 in do minore di Beethoven. Nonostante fosse la più giovane di tutti, è apparsa molto sicura di sé e anche inarrestabile quando, durante la sua esecuzione, ha dovuto lottare con il forte scampanìo proveniente dalla chiesa attigua. Ultimi due solisti del pomeriggio, la statunitense Julia Siciliano, artista che trasmette una grande tranquillità, alle prese con il primo movimento della Sonata n. 32 in do minore, op. 111 di Beethoven, e l’unico italiano di questo gruppo, il vulcanico palermitano Elia Tagliavia, classe 1987, che già ha raccolto molti prestigiosi riconoscimenti, ottimo interprete della virtuosistica trascrizione di Liszt del Valzer dal Faust di Gounod. La seconda parte della manifestazione, svoltasi nella Sala Chopin di Palazzo Mastelloni, ha visto esibirsi altri quattro nuovi solisti, a cominciare dall’estone Egle Uljas, il cui Concerto italiano BWV 971 di Bach si potrebbe definire “atletico”, visto che la ragazza ha difeso i colori della propria nazione, correndo i 400 m e gli 800 m in diverse competizioni internazionali, compresi i Giochi Olimpici di Atene. Dopo di lei è toccato a Fernanda Damiano, che avevamo già ascoltato qualche anno fa, quando era ancora una bambina. Da allora ha fatto passi da gigante, come ha dimostrato nell’esecuzione dell’Andante spianato e Polacca brillante, op. 22 di Chopin, disegnando una prima parte molto intensa e ricca di sfumature. Anche Giovanni Alvino era una nostra vecchia conoscenza (si fa per dire, visto che ha da poco compiuto 24 anni) e la sua Fantasia, op. 28 in fa diesis minore di Mendelssohn denotava il raggiungimento di una notevole maturità interpretativa. A chiudere, prima Julia Siciliano, con il movimento iniziale della Sonata n.1, Op. 11 in fa diesis minore di Schumann, che ha confermato il suo pianismo essenziale e pacato, ed infine il pugliese Domenico Monaco, solista molto bravo, con alle spalle una discreta esperienza, il cui repertorio spaziava dalla Ballata n. 2 in si minore di Liszt allo Studio in do maggiore, op. 10 n. 1 di Chopin, passando per gli Studi di Pozzoli. Tirando le somme, probabilmente questa è stata l’edizione migliore fra quelle degli ultimi anni in quanto, pur evidenziandosi le naturali differenze fra i vari solisti, legate all’età ed alle varie esperienze fin qui maturate, il livello complessivo è risultato molto elevato. A tal proposito i meriti vanno divisi abbastanza equamente fra i giovani pianisti, alcuni dei quali hanno già una discreta carriera alle spalle, altri destinati a fare molta strada, ed il maestro Pompa-Baldi, il cui difficile compito, assolto come sempre in modo impeccabile, è proprio quello di indirizzare al meglio le potenzialità di tutti i partecipanti alla masterclass. Aggiungiamo che, come nelle precedenti edizioni, si è creato un particolare clima di collaborazione ed amicizia fra i ragazzi, cosa che in tempi come questi non guasta affatto. Chiudiamo sottolineando come queste rassegne siano fra le poche a portare i giovani a contatto con il pubblico, per cui le iniziative intraprese da Alfredo de Pascale, con la sua Associazione Napolinova, appaiono particolarmente degne di essere menzionate, nell’ambito di un panorama musicale che, solo quando deve mostrare veri o presunti fenomeni da baraccone, sembra ricordarsi delle nuove generazioni di esecutori.

Marco del Vaglio

Il tenore Delfo Menicucci chiude i "Venerdì classici al Vomero"

Un intenso recital ed il saggio della masterclass di Canto e Tecnica Vocale coronano la conclusione della rassegna

Eravamo stati abituati ad apprezzare il tenore Delfo Menicucci come docente prestigioso, in grado di potenziare o recuperare le voci dei cantanti. Questa volta, invece, abbiamo avuto anche il piacere di ascoltarlo, accompagnato dal pianista Stefano Adabbo, nell’appuntamento conclusivo dei “Venerdì classici al Vomero”, rassegna organizzata dall’Associazione Napolinova, in collaborazione con la Municipalità 5 del Comune di Napoli, nell’ambito delle manifestazioni legate a “Musica in Movimento nei Monumenti”. Il suo recital, intitolato “Canto perchè amo: testi d’amore e d’autore”, è stato caratterizzato da una panoramica a 360 gradi, che ha abbracciato vari generi, dal lirico al leggero, in quanto il maestro è uno di quelli che asserisce che l’unica divisione reale risulta quella fra musica bella e musica brutta. Numerosi gli autori e gli amori affrontati, partendo da un madrigale di Monteverdi (Con che soavità) e attraversando i vari secoli, con numerose soste nell’Ottocento e nel Novecento, fra romanze di Tosti, arie di Puccini, eroine di Verdi, song di Gershwin, liriche intense, tristi e drammatiche di Wagner, Berg e Richard Strauss. Da notare che, molti dei brani, non erano scritti in origine per tenore e pianoforte, per cui, anche questo rappresentava, in un certo qual modo, una sorta di sfida. Ma, forse, ciò che acquistavano una luce particolarmente nuova e sorprendente, erano le canzoni tratte dal repertorio leggero, scelte naturalmente con grande accuratezza, fra le quali erano evidenziate “Vecchio frack” di Modugno e “La Voce del silenzio”, di Mogol-Limiti, portata al successo da Mina, entrambe in una versione fortemente suggestiva. Pubblico numerosissimo, molto partecipe e soddisfatto, che ha interagito con l’artista, chiedendo a gran voce all’organizzazione di avere maggiori occasioni di poter ascoltare recital di musica lirica, ed è stato accontentato praticamente subito. Infatti, il giorno successivo, il maestro Menicucci è ritornato nel suo ruolo di docente, presentando gli allievi della sua masterclass di “Canto e Tecnica Vocale”, alcuni nuovi, altri che già da tempo portano avanti con lui un cammino di potenziamento o di recupero, avente come scopo principale, a prescindere dalle attitudini di ognuno, quello di una dizione quanto più chiara possibile. Cala quindi il sipario su questa nuovissima rassegna, che ha portato ancora una volta al Vomero la musica classica, ricevendo un consenso numeroso ed entusiasta che conferma la presenza di un bacino d’utenza da coltivare con assiduità. Speriamo che, dopo questo riscontro, la Municipalità 5 prosegua con attività dello stesso genere e, possibilmente, del medesimo livello artistico, mentre per quanto riguarda il maestro Menicucci, l’appuntamento è sicuramente con il saggio estivo della sua masterclass, ma non è detto, dopo il successo ottenuto come solista, che non si cimenti in qualche altro originale recital.

Tre anniversari in uno ai "Venerdì classici al Vomero"

Carlo Dumont e Fabrizio Romano omaggiano Haydn, Mendelssohn e Martucci

Il 2009 che sta volgendo al termine, è stato ricco di anniversari, fra i quali i bicentenari della morte di Haydn e della nascita di Mendelssohn, ed il centenario della morte di Martucci, quest’ultimo un po’ meno considerato dei precedenti. Da questo presupposto è partito il duo, formato dal violinista Carlo Dumont e dal pianista Fabrizio Romano, ideando un programma quanto mai impegnativo, intitolato “Anniversari 2009”, nell’ambito del secondo appuntamento con i “Venerdì classici al Vomero”, rassegna organizzata dall’Associazione Napolinova, in collaborazione con la Municipalità 5 del Comune di Napoli. Di Haydn è stata proposta la Sonata n. 8 in Sol maggiore per violino e pianoforte, trascrizione, curata dallo stesso autore, del Quartetto per archi op. 77, n. 1 (1799), brano ricco di insidie, anche perchè fornisce al violino pochi punti di riferimento rispetto all’unitarietà del pezzo dal quale è stato originato. La successiva Sonata in fa minore, op. 4 per violino e pianoforte (1823), rappresenta invece un classico della letteratura cameristica mendelssohniana e, fino alla seconda metà del secolo scorso, si pensava fosse l’unica composta per tale organico. Scritta dal compositore appena quattordicenne, contiene già per larghi tratti il caratteristico stile, che ancora oggi contribuisce alla sua popolarità. L’ultimo brano in programma, la Sonata in sol minore per violino e pianoforte, op. 22 di Martucci (1856-1909), risale al 1874 e quindi rientra, come quella di Mendelssohn, fra le opere giovanili di un altro ragazzo prodigio, questa volta italiano.Il pezzo, oltre ad essere molto melodico ed avere una struttura molto solida, evidenzia un’energia ed una gioia di vivere sicuramente legate all’età. Confrontatisi con queste tre composizioni, per vari motivi tutte ad altissimo grado di difficoltà, Carlo Dumont e Fabrizio Romano hanno dato vita ad un concerto in crescendo, con un buon Haydn, un ottimo Mendelssohn ed un entusiasmante Martucci, davanti ad un pubblico numerosissimo, anche se più irrequieto e meno attento del solito (pur se va sottolineato che, per motivi non addebitabili ai musicisti, il concerto è iniziato con enorme ritardo, per cui non tutti gli spettatori giunti puntuali, data l’età media elevata, sono riusciti a seguire l’intera serata). Ad ogni modo, un bis era d’uopo e, davanti ai molti che ancora gremivano l’Auditorium della Chiesa di S. Francesco, i due interpreti hanno chiuso la loro esibizione in modo estremamente raffinato, sulle note di Vocalise di Rachmaninov.

Un intenso recital di Simona Padula apre i "Venerdì classici al Vomero"

Caloroso successo della pianista, ospite della nuova rassegna organizzata dall’Associazione Napolinova in collaborazione con la Municipalità 5 del Comune di Napoli.

Abbiamo altre volte sottolineato come il quartiere napoletano del Vomero stia assurgendo a polo principale della musica classica cittadina. Un ennesimo esempio lo abbiamo avuto recentemente, in occasione dell’apertura della rassegna “Venerdì classici al Vomero”, organizzata dall’Associazione Napolinova, in collaborazione con la Municipalità 5 del Comune di Napoli, nell’ambito delle manifestazioni legate a “Musica in Movimento nei Monumenti”. Ospite del concerto inaugurale, tenutosi nell’Auditorium della chiesa di San Francesco d’Assisi, la pianista Simona Padula, vomerese DOC, reduce da una trionfale tournée messicana, che ha proposto un repertorio rivolto alla produzione del Settecento e dell’Ottocento. Brano iniziale, preceduto da una esauriente spiegazione dell’artista, Kinderszenen (Scene infantili), op. 15 (1838) di Schumann, scritto dal compositore tedesco durante uno dei tanti periodi di distacco dall’amata Clara Wieck, che precedettero il loro matrimonio, avvenuto nel 1840. Si tratta di una raccolta di tredici brani, vere e proprie miniature, dove l’autore guarda all’infanzia con gli occhi nostalgici dell’adulto e, pur non essendo molto nota nella sua interezza, è caratterizzata dalla presenza di Träumerei (Sogno), pezzo fra i più famosi di Schumann. E’ stata poi la volta della Fantasia in do minore K.475 che Mozart scrisse nel 1785, abbinandola alla Sonata in do minore K 457, ma i due brani hanno, fino ad un recente passato, conosciuto vite autonome e solo raramente sono eseguiti insieme. Particolarità di questa sonata è quella di essere stata composta per il fortepiano e quindi presenta timbri specifici, a differenza di molti altri lavori mozartiani, nati per il clavicembalo e poi entrati a far parte del repertorio pianistico. Terza composizione in programma, la Sonata n. 14, in do diesis minore op. 27, n.2 (1801) che Beethoven dedicò alla contessa diciassettenne Giulietta Guicciardi. L’autore la definì “sonata quasi una fantasia”, in quanto non seguiva rigorosamente gli schemi del genere, mentre l’appellativo “Al chiaro di luna”, con la quale è ormai passata alla storia, risulta postumo e si deve al critico musicale Ludwig Rellstab. Parte finale dedicata a due brani di Liszt, Studio n. 6 in la minore (Tema e variazioni sul Capriccio n. 24 di Paganini), da Grandes Études de Paganini, S.141 (1851) e “Après une lecture du Dante: Fantasia quasi sonata” (1849), il pezzo più lungo ed elaborato nell’ambito del secondo volume de “Les Années de Pèlerinage”, che fa riferimento alla Divina Commedia e, in particolare, descrive gli stati d’animo contrastanti delle anime dell’Inferno e del Paradiso. Come si può constatare, il programma scelto dalla Padula conteneva tutta una serie di spunti, di volta in volta romantici, drammatici, virtuosistici, permettendo all’artista di evidenziare la sua estrema bravura, contraddistinta da una forte intensità esecutiva ed un tocco elegante e raffinato. Grandissimo successo di pubblico, con molti spettatori rimasti addirittura in piedi (e in silenzio) durante l’intero concerto, segno ulteriore del carisma della pianista. In conclusione un ottimo inizio per questa breve ma interessante rassegna, che si protrarrà fino a metà dicembre.

Carlo Parazzoli e Simona Padula incantano il pubblico alla Sala del Toro Farnese

Enorme successo del prestigioso duo nell’ambito della XII edizione del Festival di Musica da Camera di Napolinova

In una Sala del Toro Farnese quanto mai gremita, si è svolto il terzo appuntamento della XII edizione del Festival di Musica da Camera, rassegna organizzata dall’Associazione Napolinova. Ospite d’eccezione il duo formato dal violinista Carlo Parazzoli e dalla pianista Simona Padula, che si sono confrontati con la Sonata n. 5 in fa maggiore op. 24 di Beethoven e la Sonata n. 3 in fa maggiore di Mendelssohn. La prima, fra le opere beethoveniane più famose, venne composta nel 1800 e dedicata al conte von Fries. Divisa in quattro movimenti, invece dei canonici tre, è passata alla storia con l’appellativo di “Primavera”, attribuitole non dall’autore, ma forse da Arthur Schindler, primo biografo di Beethoven, prendendo come riferimento la melodia iniziale affidata al violino, piena di vigore giovanile. Molto diversa la storia della sonata di Mendelssohn che, pur risalendo al 1838, venne riscoperta solo nel 1953 da Yehudi Menuhin e, da allora, ha conosciuto una progressiva diffusione, anche se non ha ancora raggiunto la notorietà di altri pezzi dell’autore tedesco. Il brano presenta tre tempi, con un Allegro vivace e un Assai Vivace, che richiamano abbastanza il celeberrimo Concerto per violino in mi minore, op. 64, scritto qualche anno dopo da Mendelssohn, mentre l’Adagio centrale è caratterizzato da una vena di intenso romanticismo. Per quanto riguarda i due interpreti, la loro esecuzione è stata caratterizzata da un ottimo affiatamento, e la straordinaria intensità e nitidezza del violino di Parazzoli, insieme alle sonorità, di volta in volta, delicate, raffinate e decise del pianoforte della Padula, hanno letteralmente magnetizzato gli spettatori (ed era da molto tempo che non vedevamo un pubblico numeroso così attento). Non è quindi un caso che, per mantenere intatta la particolare atmosfera creatasi, i due musicisti abbiano intelligentemente fatto a meno dell’intervallo. Successo grandissimo e chiusura con Liebeslied di Fritz Kreisler suonato come bis, brano solo apparentemente lieve, che si presta a sottili sfumature, se si pone l’accento sull’eleganza e la velata nostalgia che lo caratterizza, così come è emerso dalla versione fornita dal duo Parazzoli-Padula.

L'oboe protagonista al Festival di Musica da Camera di Napolinova

Paolo Pollastri, accompagnato dal pianista Domenico Cacace, conquista il pubblico della Sala del Toro Farnese

Il secondo appuntamento della XII edizione del Festival di Musica da Camera, rassegna organizzata dall’Associazione Napolinova, ha avuto come protagonista il duo formato dall’oboista Paolo Pollastri e dal pianista Domenico Cacace. Quanto mai interessante il programma, considerando che la produzione per oboe e pianoforte risulta abbastanza inusuale e poco nota. Apertura con le Tre romanze, op. 94 di Robert Schumann (1810-1856), scritte nel 1849, fra i rarissimi esempi di musica appartenente al repertorio romantico, dove l’autore tedesco incentra tutto su una vena piacevole linea melodica senza pretendere dal solista eccessivi virtuosismi. Esattamente il contrario del Morceau de Salon op. 228 per oboe e pianoforte di Johann Wenzel Kalliwoda (1801-1866), compositore, violinista e direttore d’orchestra praghese. In questo caso, come si può intuire dal titolo, abbiamo a che fare con un pezzo da salotto, dove l’imperativo risulta quello di catturare l’attenzione dei convenuti, tramite una musica orecchiabile ed una discreta dose di virtuosismo. Fra queste due composizioni, un breve sguardo sul Novecento, con i Cinque pezzi per oboe solo dell’ungherese Antal Dorati (1906-1988), molto più celebre come direttore d’orchestra che come compositore. Caratterizzati da uno stile molto vario (uno dei cinque, Berceuse, si basa ad esempio sulla scala pentatonica e necessita della sordina, una autentica rarità per l’oboe), sono sicuramente pezzi moderni, seppur abbastanza moderati, e costringono il solista a grandi difficoltà esecutive. Dopo un breve intervallo, spazio alla produzione cameristica di due autori, come Gaetano Donizetti (1797-1848) e Amilcare Ponchielli (1834-1886), famosi soprattutto per le loro opere. Il primo era presente con la Sonata per oboe e pianoforte in fa maggiore e il Solo per oboe e pianoforte, mentre il secondo con un Capriccio per oboe e pianoforte, del quale probabilmente esisteva una versione dove il pianoforte era sostituito dalla banda, che ha chiuso il concerto nel migliore dei modi. Per quanto riguarda i due interpreti, Pollastri è stato il mattatore assoluto, non solo per il tipo di repertorio proposto, che ha esaltato le sue doti di grande virtuoso dello strumento, ma anche per le sue notevoli capacità comunicative. Infatti, ogni brano è stato preceduto da qualche breve notizia o curiosità, e da alcuni scambi di battute, improvvisati con i presenti, per cui si è guadagnato subito l’apprezzamento dei numerosi appassionati, che gremivano la Sala del Toro Farnese, riuscendo in tal modo a far accettare anche i cinque brani di Dorati. Dal canto suo, molto bravo si è dimostrato il pianista Domenico Cacace, che ha supportato efficacemente Pollastri nel suo ruolo di accompagnatore, poco appariscente, ma fondamentale per l’insieme. Successo calorosissimo, con insistente richiesta di bis da parte del pubblico, che aveva stavolta un ampio respiro internazionale, per la presenza di giovani studenti giapponesi, giunti a Napoli per uno scambio culturale. I due solisti hanno accontentato gli spettatori con una Polacca (da Introduzione e Polacca) di Adolphe Deslandres (1840-1911), compositore ed organista francese, da noi praticamente sconosciuto, che vinse nel 1860 il Secondo Gran Premio, al Prix de Rome, con la cantata Ivan IV. In conclusione un concerto che, ad un repertorio di rarissimo ascolto, ha abbinato un duo di grande livello, confermando la validità di una rassegna che, per come è concepita, rappresenta un unicum nell’ambito della corposa proposta musicale napoletana.

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